
di una maestria non raccontabile,
si aggirava anche nella nostra italica
cucina con mirabolanti “Spaghetti Balilla
ai flutti di male”. Chiamati così da lui,
non apparivano quel che, scrivendone,
sembra più una futuristica malevola e
precognitrice ricetta Marinettiana.
Questo mio maestro mi stupì al mio
denunciare un oppressivo senso
di fastidiosa pienezza post festiva,
con una ricetta miracolosa capace,
a suo dire, di placare anime e stomachi
affaticati.
Raccontava, facendomela sorseggiare,
della sua isola Penghu, ponte naturale
fra la Cinacontinentale e Taiwan, dove sua nonna curava marinai di tutto
il mondo con sciamaniche certezze e con cibi che videro Mao Tse-tung mettersi
segretamente a sedere nella sua povera casa in riva al mare con Chiang Kai Shek.
Bollire in 5 bicchieri d’acqua una rondella di tre millimetri di ginger,
5 chicchi di pepe nero frantumato grossolanamente, un piccolo spicchio di laim,
un piccolo spicchio d’aglio spiaccicottato e al primo bollore buttarvi dentro
una quindicina di piccole cozze ben mondate. Al loro primo aprirsi,
sottraetele dal bollente brodo e sgusciatele deponendole poi in un’ampia
tazza orientale, versandoci dentro tutto il liquido e aggiungendo in ultimo il succo
di mezzo limone.
Potrete usare, con lentezza, le bacchettine per prendere una ad una le gialle arancionate meraviglie, consumando e masticando infine anche la rondella di ginger e bevendo così lentissimamente tutta la bollente saporosa liquidità.
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